Quel giorno che a Wembley… 5 mesi dopo, ricordi e riflessioni di italiani che vivono in UK

Roberto Bonzio
7 min readDec 11, 2021

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Sono passati cinque mesi da quell’11 luglio a Wembley, con la vittoria agli Europei in casa dell’Inghilterra, in un anno incredibile per lo sport italiano, anche se l’Italia del calcio dopo il trionfo non ha proprio brillato… ma quel giorno ha lasciato il segno, con un successo unanimemente attribuito alla capacità di far squadra, diventato metafora di uno spirito collettivo da coltivare anche fuori dal campo. E qualche riflessione amara, per gli inglesi, sulle reazioni scomposte alla sconfitta.

Ma com’era stato vissuto, e cosa ha lasciato quel giorno? La parola a quattro italiani che vivono da anni nel Regno Unito.

Carlotta Torrione davanti allo stadio di Wembley per la finale

Laurea quest’anno all’Oxford Brookes University, Carlotta Torrione lavora come Guest Service Agent allo Sheraton Grand London Park Lane.

Quei brividi a Wembley, finendo in tv col mio compagno inglese

Mai stata una grande fan del calcio, sono passata dal non aver mai messo piede in uno stadio a entrare Wembley per due serate nell’arco di 5 giorni... finendo davanti alle telecamere, su Rai 1 e Rai 3! La prima volta, alla semifinale con la Spagna, è stata ancora più pazzesca e all’inno di Mameli mi erano venuti i brividi e raccontavo al telefono a mio nonno di non essermi mai sentita così tanto Italiana. Altra cosa interessante è stata seguire questi Europei con il mio compagno inglese, insieme allo stadio per tutte e due le partite. Lui ( per fortuna, visto com’è finita) è uno grande sportivo, ex giocatore di calcio e sa essere molto obiettivo rispetto al gioco. “L’Italia ha vinto grazie a spirito di squadra, amicizia, ma anche perché nonostante la tensione gli Azzurri si sono divertiti sul campo”, ha detto alla fine. Però l’amaro in bocca gli è rimasto quella sera, mentre io festeggiavo sulle note di Bennato ‘Un’estate italiana’ insieme ai miei connazionali. In Inghilterra, due settimane di “football is coming home” scritto dappertutto e cantato in tutti i pub, subito dopo trasformato in “football is delayed, it’s coming home is 2022” han fatto capire un po’ come sono fatti gli inglesi. Non ho apprezzato molto questa loro arroganza, presunzione, molta poca sportività. Poi (da vera italiana), scaramantica e superstiziosa, non riuscivo a capire tanta sicurezza prima della finale, guardandoli urlare a squarciagola “Football is coming home”, perché pensavo; “Porta sfortuna…”.

Resto riconoscente ma ora vedo gli inglesi in un altro modo

Vivo in Inghilterra da cinque anni e ho notato con il passare del tempo che mi sento sempre più italiana quando sono qua di quanto lo sia quando sono in Italia. Ho grande stima degli inglesi, e devo tanto all’Inghilterra che mi ha accolta ormai cinque anni fa e mi ha regalato opportunità che non avrei ottenuto in patria. Arrivando dall’Italia, dove le cose sono un po’ diverse, ho sempre avuto questa impressione degli inglesi come persone molto civili, onesti, rispettosi verso il prossimo e gentili. Quella sera per me é stato quasi uno shock. Vedere una folla di gente che cercava a tutti i costi di entrare allo stadio senza biglietti (nel paese famoso per le code in fila indiana..), atti di puro vandalismo… di fatto, per la prima volta non mi sono sentita sicura e ho avuto paura, scoprendo degli inglesi diversi da quelli che conoscevo, che quella sera non hanno perso solo sul campo, ma anche fuori. Dal non accettare la medaglia, agli insulti razzisti ai loro giocatori per aver sbagliato i rigori, alle violenze fuori dallo stadio ai fischi all’inno Italiano. Oltre alla poca sportività, hanno dimostrato di non saper accettare una sconfitta.

Carlotta Torrione a Wembley con il compagno inglese

Ma non confondiamo il calcio con Brexit

Credo sia sbagliato associare gli Europei alla Brexit, sono due cose ben distinte e dovremmo vivere in un mondo in cui si guardano le partite di calcio per il gusto di guardarle e per il gioco in sé, capaci alla fine di festeggiare le vittorie e saper accettare le sconfitte. Dall’altro lato, penso che l’Italia abbia dimostrato quel giorno una grande forza e unione, che possa servire da lezione agli inglesi e all’Europa intera. Una vittoria frutto di un lavoro interamente di squadra, proprio nel giorno in cui nella finale a Wimbledon con Matteo Berrettini avevamo dimostrato grande sportività nell’accettare la sconfitta. Penso che quella sera possa insegnare tanto agli Italiani, soprattuto ai giovani sportivi: credere in loro stessi e provarci ancora e ancora.

Stefano “Stefio” Ceccon a Londra

Laureato alla Brunell University, Data Scientist (in passato pure a The Times) Stefano “Stefio” Ceccon lavora a Morsum ed è cofondatore della startup SkipQ.

Al pub, distanziati per la pandemia. E dell’Italia avevano paura…

La maggior parte dei miei amici inglesi ha ammesso le brutte figure ma ha anche apprezzato gli sforzi della loro squadra. Si dice che gli inglesi avessero già pensato di avere la vittoria in tasca, ma tra i miei amici non era così, tutti temevano l’Italia e la davano per favorita. E’ stato un Europeo bello ma segnato dalla pandemia. Come molti altri, ho preferito guardare la maggior parte delle partite da casa, per evitare assembramenti e per la finale tra Inghilterra e Italia sono riuscito a prenotare un tavolo con alcuni amici in un pub meno affollato e con regole serie di distanziamento, cosa che ci ha permesso di dimenticare la pandemia per qualche ora e goderci le partite. Per uno dei match abbiamo dovuto dividerci in due tavoli e per scaramanzia sedevo sempre allo stesso tavolo ad ogni match! :)

L’Inghilterra si è vista allo specchio, con i suoi problemi

Penso che questa esperienza abbia permesso alla società inglese di vedersi allo specchio — i social media, le riprese delle telecamere da Wembley e molti dei commenti lasciati a caldo non saranno cancellati e sono stati oggetto di inchieste e documentari che permetteranno di costruire una società migliore e — speriamo — aumentare gli investimenti nel supporto dei giovani e i meno fortunati. Tutti hanno condannato i cori razzisti e le invasioni allo stadio ma mi sembra evidente che c’è ancora un problema di tifoserie violente e razziste nel Regno Unito. E’ stata una vittoria che mi ha ricordato quella dei Mondiali, dove tutti hanno contribuito al raggiungimento del titolo senza un particolare giocatore che oscuri gli altri o trascini la squadra da solo. E come aveva detto l’allenatore inglese Neville, nel difendere gli attacchi subdoli ai suoi rigoristi, si vince e si perde tutti insieme. Penso che l’Italia l’abbia dimostrato: ancora una volta il gruppo e il gioco di squadra sono state le armi vincenti.

Silvia Peragine e Edoardo “Edo” Raffa a Londra

Edoardo Raffa è direttore dell’agenzia di consulenza Turner & Townsend e si è laureato in Ingegneria Chimica al Politecnico di Milano, dove la moglie Silvia Peragine, Interior Designer, si è laureata in Architettura.

Giornata amara per loro ma Inghilterra e Italia restano legate

Dopo la nostra vittoria c’era stata molta amarezza nei messaggi degli amici britannici, ma la storia (come la cultura) pesa, nel calcio come nella diplomazia. L’identità britannica però non ha subito alcun colpo; sarebbe stata in bilico se Southgate fosse stato sostituto dal principe William per la selezione dei rigoristi… I nostri due popoli sono sempre stati legati da una reciproca stima e ammirazione con radici profonde e non sarà una partita di calcio a cambiarle. Il calcio stesso offre molteplici esempi. Basti pensare che la più antica società calcistica ancora in attività (il Genoa) è stata fondata da inglesi. La fondazione del Milan seguì sulla falsa riga, e poi molte altre ancora. Il calcio è un vero collante tra le due tribù, al di la della squadra vincente.

Rinascimento, se gli azzurri di Wembley fossero specchio del Paese

Sarebbe un secondo Rinascimento, se quell’Italia calcistica di Wembley di Mancini e Vialli fosse lo specchio di una rinnovamento della società Italia. Noi saremmo già a cavallo per ritornare; purtroppo però ci sembra che ci sia solo il fantino (per ora). Le manovre finanziarie (incluso il Recovery Fund), lo “spirito di squadra”, la “fiducia nei giovani”, la propensione alla “versatilità”, sono sempre conseguenze di una mentalità, di un substrato culturale, di un humus, che in Italia — per mille ragioni — fa ancora fatica a decollare. Per cambiare servirebbe una rivoluzione; ma una vera rivoluzione. E le rivoluzioni (quelle che hanno avuto successo) le hanno sempre iniziate gli adulti, diffondendole poi tramite i giovani; non sono mai partite dai giovani… (forse la più importante lezione di vita della rivoluzione mancata del 1968…). Mancini e Valli ne sono entrambi un esempio perfetto: il loro apice l’hanno realizzato (almeno professionalmente) all’estero e superati i trent’anni di età; caso vuole, proprio in Inghilterra; Vialli a Londra e Mancini al Manchester per poi riabbracciarsi a Wembley. Quale migliore esempio sotto gli occhi degli italiani. La storia pesa. E la mentalità pure.

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Roberto Bonzio

"Giornalista curioso", storyteller, autore del progetto Italiani di Frontiera