La lezione per il futuro da quelle ragazze veneziane senza volto musiciste del Settecento

Roberto Bonzio
6 min readOct 31, 2021

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Com’è possibile?

Vissero tre secoli fa. Nessuno conosce i loro volti (anche se forse alcuni appaiono in un celebre affresco), abbandonate dai genitori, solo di poche si ricorda il nome, solo due divenuti celebri: Anna Maria e Chiaretta. Com’è possibile che a loro sia stata dedicata una bellissima mostra a Cremona (che ha chiuso i battenti il 31 ottobre ma presto verrà riproposta) e che compaiano tra i protagonisti di un recente libro, best seller New York Times che indaga le chiavi per affrontare il futuro, accanto a personaggi del calibro di Keplero e Van Gogh, star dello sport come Tiger Woods e Roger Federer, del jazz come Django Reinhardt, innovatori come Gunpei Yokoi, pioniere dei videogiochi artefice del successo di Nintendo, o Andy Ouderkirk, geniale inventore di pellicole straordinariamente innovative in 3M?

Il titolo della mostra, “I violini di Vivaldi e le Figlie di Choro”, allestita al Museo del Violino di Cremona, svela il primo indizio, di questa incredibile storia.

Le “Figlie di Choro” infatti erano trovatelle divenute musiciste straordinarie, allevate ed educate dall’Ospedale della Pietà a Venezia, una delle istituzioni che in molte città nei secoli scorsi si occupavano di infanzia abbandonata, neonati che ragazze madri, prostitute, famiglie in condizioni di indigenza lasciavano, spesso utilizzando una “scafetta” o “ruota degli esposti” (da qui il popolare cognome napoletano Esposito), bussola girevole in legno in cui il bimbo veniva affidato alle cure di ospedali e istituti, deponendolo in modo anonimo, anche se spesso al suo fianco veniva deposta la metà di un contrassegno che avrebbe potuto permettere in futuro alla madre, che ne conservava l’altra metà, di ritrovare il figlio.

Curare, educare e insegnare un mestiere agli “esposti” era la missione di tutti questi istituti. A Venezia, che era centro d’eccellenza per la musica, l’Ospedale della Pietà sorto nel Trecento, potè contare su un insegnante straordinario, Antonio Vivaldi, che assunto nel 1703, a 25 anni come “Maestro di Violino” poco dopo esser stato ordinato sacerdote, chiamato da un altro grande musicista, Francesco Gasparini all’epoca Maestro del Coro, vi lavorò a più riprese sino al 1740, un anno prima della sua morte.

In quel periodo, diverse generazioni di ragazze si alternarono come strumentiste e cantanti nei ruoli di “Figlie di Choro”, costituendo sotto la guida di Vivaldi un’eccellenza assoluta che divenne attrazione internazionale.

“Un coro femminile dietro una grata eseguiva un oratorio: la chiesa era piena di pubblico, stupenda la musica, magnifiche le voci”. Johann Wolfgang Goethe

Le ragazze accompagnavano cerimonie religiose suonando e cantando nella Chiesa della Pietà, che spesso gremita vista la loro fama, restava con le porte aperte per consentire di ascoltarle anche dall’esterno. Ed esibirsi dietro a una grata, in abito rosso, simbolo della Pietà, dove nessuno poteva vederle in volto, aggiungeva un fascino misterioso alla loro popolarità.

“Quello che mi dava fastidio erano le grate, che lasciavano passare i suoni ma impedivano a vista di quegli angeli di bellezza…” Jean Jacques Roussau ambasciatore francese a Venezia 1743–1744)

Per l’Ospedale della Pietà, le “Figlie di Choro” erano un motivo di grande prestigio ma pure un importante investimento. Le ragazze, selezionate fra le più dotate, sottoposte a un duro addestramento, venivano ripagate anche con un’alimentazione migliore rispetto alle loro compagne. Le loro esibizioni erano cruciali per attirare le donazioni dalle quali dipendeva l’Ospedale. Che per questo investì cifre consistenti per l’acquisto di strumenti di qualità da celebri liutai, come quelli esposti nella bella mostra di Cremona, occasione per un profondo lavoro di analisi della qualità e dello stato di conservazione di questi preziosi strumenti.

Nessuno ha ritratto i volti di queste musiciste, anche se si ritiene che alcuni compaiano nell’affresco di Giambattista Tiepolo che adorna il soffitto della chiesa.

Di alcune sono stati tramandati invece i nomi, come delle due allieve predilette di Vivaldi, Anna Maria e Chiaretta. In particolare, Anna Maria “Del Violin” (o “Della Pietà”) divenne una virtuosa del violino celebre anche all’estero, considerata forse senza rivali in Europa nella sua epoca. Vivaldi le dedicò numerosi concerti e si impegnò per farle acquistare uno strumento di straordinario valore, adeguato al suo talento.

La fama delle “Figlie di Choro” nel mondo della musica è stata tale che BBC4 anni fa ha realizzato in un video una bellissima ricostruzione con orchestra e coro al femminile, con il Gloria di Vivaldi in un concerto registrato proprio nella Chiesa della Pietà.

Ma come mai questa fama di virtuose del Settecento è rimbalzata di recente in un libro di un giornalista d’inchiesta, best seller New York Times, sulle chiavi per affrontare la complessità guardando al futuro?

Nel suo “Range” (Generalisti. Perchè una conoscenza allargata, flessibile e trasversale è la chiave per il futuro, LUISS 2020) David Epstein ha dedicato un capitolo a queste ragazze senza volto, quasi tutte senza nome, vissute tre secoli fa. Esaltando un aspetto particolare del loro talento: virtuose di uno strumento, molte erano straordinarie polistrumentiste, capaci cioè di destreggiarsi anche con altri strumenti. Anna Maria ad esempio era violinista fuoriclasse capace di suonare anche violoncello, oboe, clavicembalo, mandolino. Epstein ricorda che per le “Figlie di Choro”, Vivaldi scrisse 140 concerti (alcuni trascritti da Bach), anche Haydn compose per una di loro, mentre Mozart le avrebbe ascoltate da bambino poi da ragazzo. La loro abilità con strumenti diversi avrebbe rappresentato una sfida per i compositori, al punto da stimolare sperimentazioni alle origini dell’orchestra moderna e del rinnovamento della musica sacra. Confermando la tesi del saggio: dall’arte alla scienza, dalla tecnologia alla soluzione di grandi problemi ambientali, la chiave del successo sta nel saper combinare competenze diverse, generando formule e innnovazioni che spesso sfuggono ai “superspecialisti” di un solo campo. Mentre diversificare le esperienze, creare opportunità, aver tempo d’esporare e guardare con una visione più ampia consente ai “generalisti” di affermarsi in un mondo specializzato, con una conoscenza allargata, flessibile, trasversale.

“La mostra di Cremona è stata un grande successo. Chiudiamo ma tutto il lavoro svolto nella raccolta e analisi di questi strumenti darà vita presto a una grande esposizione a Venezia, proprio nella Chiesa della Pietà dove queste ragazze si esibivano tre secoli fa”, mi ha detto Fausto Cacciatori, conservatore della Fondazione Museo del Violino Antonio Stradivari di Cremona. Occasione imperdibile, per sviluppare a fianco all’esposizione dei bellissimi strumenti il racconto della storia di queste ragazze che nella musica trovarono affermazione e riscatto. E di quello che come ha ricordato Epstein, il loro talento, la loro versatilità ancor oggi ha da insegnarci, nel guardare al futuro.

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Roberto Bonzio

"Giornalista curioso", storyteller, autore del progetto Italiani di Frontiera